MARISA, DIETRO L'ARTICOLO

Questo è l’articolo. I fatti. Registrati con minuzia e un pizzico di burocrazia, sì, anch’io, perché il tema è delicato (la capacità e la volontà di uno Stato democratico di proteggere i suoi cittadini eroici) e si rischiano querele. Ma oltre l’articolo c’è tanto di più: l’incontro tra me e Marisa Masciari, in una tarda mattinata novembrina eccezionalmente assolata, che ci ha permesso di sederci e parlare all’aperto, al tavolino di un bar qualsiasi, come due amiche.
Temevo di dover fare con lei quel mestiere che non sempre mi piace: scavare. Estrarre parole. Torturare con piccole e insistenti domande. Invece Marisa ha fatto da sola, tanto aveva bisogno di parlare.

È questo che mi ha sconvolto, di lei: capire con chiarezza quanto sia sola, senza amiche, condannata dalla sua scelta coraggiosa a starsene isolata e nascosta.
Poteva lasciarlo, quel marito deciso a non pagare il pizzo alla ‘ndrangheta. Perché seguirlo in questa vita clandestina? Poteva fare un passo indietro, Marisa, comportarsi con quella viltà tanto comune, spesso incolpevole, che ci caratterizza tutti in pochi o tanti bivi della nostra esistenza. Perché lasciare la sua casa, la villa al mare, le serate con gli amici, il lavoro da dentista, le baby-sitter per i figli, i weekend di sci in Trentino? Oppure poteva dirgli: non denunciare, così ci rovini tutti; stattene zitto anche tu e paga, come fanno tutti.
Invece Marisa ha fatto il contrario. Ha incoraggiato il marito a parlare. Ed è diventata un fantasma, insieme a lui.
Dovevamo salutarci verso le 14, dopo un paio d’ore di chiacchierata, tra l’intervista e la lettura di alcuni documenti relativi al loro programma di protezione. Ma era difficile lasciarsi. Io avevo ancora tante domande, e Marisa voleva continuare a parlare, a sfogarsi. Sono salita con lei sul suo treno, diretto in un luogo dove il marito l’avrebbe presa per portarla a casa, nella loro località segreta che non mi hanno rivelato e io non ho chiesto. E ho avuto una singolare sensazione: che la tensione di Marisa fosse calata, per il fatto di non viaggiare sola. Che la mia presenza potesse in qualche modo proteggerla. Forse basta davvero così poco, a sentirsi al sicuro, quando sei davvero in pericolo.
Alla stazione è arrivato a prenderla il marito, Pino Masciari, che avevo conosciuto all'inizio di ottobre a Santa Margherita di Belice, provincia di Trapani. I casi della vita. Ero là insieme a Pino Maniaci, l'eclettico direttore di Telejato, coraggiosa micro-emittente del triangolo mafioso attorno a Partinico: stavo raccontando l'avventurosa storia di Telejato per "Io Donna" (nel blog c'è l'articolo, Il baffo della resistenza), e ho dovuto seguire Maniaci al convegno del Belice dove faceva da moderatore.
Quella sera, il testimone di giustizia Pino Masciari ha parlato urlando, raccontando la sua storia incredibile con una rabbia che quasi feriva. Ci siamo scambiati i numeri di telefono, ed è stato da allora - anche se già conoscevo la sua vicenda - che ho cominciato a chiedermi che volto potesse avere sua moglie, che sentimenti, che tristezza.
Dunque Pino è arrivato alla stazione a prendere Marisa insieme ai due figli, adolescenti silenziosi. Abbiamo parlato ancora al buio, in un parcheggio. A un certo punto non ho più visto i ragazzi, “dove sono andati?”. “Sono in macchina” ha detto Marisa “loro non si allontanano mai”.

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