40 MILIONI DI NUOVI SCHIAVI

Kobina, piccolo schiavo in Ghana (foto: Christine Bedenis / Challenging Heights)

A cinque anni, rimasto orfano, Kobina è stato trascinato dallo zio sul lago Volta, in Ghana, per lavorare dieci ore al giorno al servizio dei pescatori: solo sette anni dopo è riuscito a fuggire, riprendendosi la sua infanzia. Rafael Ferreira da Silva, invece, ha trascorso l’intera adolescenza a zappare la terra in una fattoria nel Mato Grosso, in Brasile, per ripagare un debito di famiglia. Si è liberato a diciassette anni, e oggi studia ingegneria all’università. Dall’altra parte del mondo, in Francia, Henriette Siliadin è stata trafficata a quattordici anni dal Togo per fare la domestica senza paga né documenti, rovinata dalle botte, finché ha avuto il coraggio di denunciare.
La schiavitù non è una vergogna di epoche estintecome ha rivelato l’inchiesta della Cnn sui mercati di esseri umani in diverse città della Libia. Ma il fenomeno ha dimensioni molto più ampie. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), nel mondo i nuovi schiavi raggiungono oggi i quaranta milioni. Il 71% sono donne. Un quarto, bambini intrappolati nella prostituzione, venduti per saldare debiti familiari, arruolati a forza negli eserciti. Se poi allarghiamo lo sguardo ai numeri del lavoro minorile, il totale è di 151 milioni, in maggioranza sotto i quattordici anni. Cifre su cui s’accenderanno i riflettori il 2 dicembre, Giornata internazionale per l’Abolizione della schiavitù.

“La schiavitù moderna è tipica dell’economia globale: nessuna nazione ne è immune” spiega Guy Ryder, direttore generale di Ilo. “Mentre il settore privato costringe circa 16 milioni di persone nel mondo allo sfruttamento lavorativo, le autorità statali lo impongono ad altri 4 milioni, attraverso il lavoro obbligatorio ai fini dello sviluppo economico, il lavoro in carcere e l’abuso del reclutamento militare”.
Con la campagna “50 per la Libertà”, Ilo e altre diciannove organizzazioni partner puntano a persuadere almeno cinquanta Stati a ratificare entro il 2018 il Protocollo contro il lavoro forzato (chiunque può dare man forte firmando al sito 50forfreedom.org), che finora ha l’avallo solo di ventuno Paesi, di cui la maggior parte in Europa (senza l’Italia però), solo quattro in Africa e nessuno in Asia. Eppure i neo-schiavi abitano soprattutto in Africa (con 7,6 vittime ogni mille abitanti), in Asia (6,1) ma anche in Europa (3,9), mentre mancano dati attendibili per il continente americano e i Paesi del Medio Oriente.
Solo il business del lavoro forzato frutta oltre 150 miliardi di dollari l’anno, ha ricordato durante un convegno in Vaticano Rani Hong, presidente della Tronie Foundation, che assegna alle aziende americane un “marchio di libertà” identificando quelle che non utilizzano il lavoro forzato. Originaria del Kerala, in India, Rani è stata rapita a sette anni, schiavizzata, ridotta alla fame e poi venduta nel circuito delle adozioni illegali. Grazie a una famiglia americana che ha curato le sue ferite, Rani Hong ha rimesso insieme i pezzi della sua vita e oggi, oltre ad aver spinto lo Stato di Washington, dove vive, a diventare il primo negli Usa a dotarsi di una legge contro il traffico di esseri umani, “mi faccio portavoce di chi non ha voce” dice. “I milioni di bambini nel mondo che non possono raccontare le loro terribili storie”.

da D-la Repubblica, 25 novembre 2017

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