NAWAL, L'ANGELO DEI PROFUGHI


Foto di Salvatore Cavalli
La prima volta era una fine estate del 2013. Il suo telefono squillò nel silenzio dell’alba. Dall’altro capo, una voce maschile urlava in arabo, trasfigurata dal vento e dal fragore del mare: “Siamo 500 persone, stiamo per affondare. Non vediamo nessuno vicino, nessuna nave mercantile. Ti prego Madame, chiama i soccorsi”. Da allora, la giovane “Madame” ha ricevuto un Sos al giorno dalle acque del Mediterraneo. E salvato almeno ventimila vite dal naufragio.


Il suo nome è Nawal Soufi, ha 27 anni e origini marocchine, ma da sempre vive vicino a Catania con la famiglia. La chiamano “Lady Sos” perché, da quando andò in Siria a portare aiuti umanitari a Homs e Aleppo, il suo numero di telefono passa di mano in mano ai profughi che fuggono dalla guerra tentando l’approdo sulle coste della Fortezza Europa. “Spesso chiamano nel cuore del notte” racconta Nawal “e tu devi gridare più forte del mare per farti dare in fretta le coordinate dell’imbarcazione e comunicarle alla Guardia Costiera per il salvataggio”.

Ora la sua storia è diventata un libro, scritto dal giornalista Daniele Biella: Nawal, l’angelo dei profughi (edizioni Paoline) , che verrà presentato a Roma giovedì 21 maggio alla Libreria Paoline, via del Mascherino 94, e a Milano venerdì 22 alla Biofficina. Due occasioni preziose per incontrare una ragazza speciale, che di mestiere fa l’interprete e la mediatrice culturale e, dal 2013, dedica tutto il suo tempo libero all’aiuto ai migranti: “Alla stazione di Catania faccio anche accoglienza ai richiedenti asilo che arrivano dai centri di tutta la Sicilia e vogliono dirigersi in Nord Europa. Gruppi anche di 400 persone alla volta, che alla stazione si ritrovano circondati da avvoltoi che puntano a derubarli o a truffarli: io fornisco loro le informazioni corrette e, se c’è bisogno, porto cibo e vestiti”. Con il suo atteggiamento professionale e deciso, Nawal è riuscita ad allontanare dai profughi la rete degli sciacalli, sostituendola con una catena di solidarietà tra i catanesi della zona.

Nawal si definisce una “attivista per i diritti umani”. Sa che per sempre farà ciò che sta facendo oggi, e tradisce rabbia parlando di tutte le falsità propagandate sull’immigrazione da certa parte politica: “Vorrei andare di porta in porta a spiegare alla gente come stanno davvero le cose” dice. “Bisogna capire che i richiedenti asilo non sono clandestini: sono persone che scappano da guerre e dittature. Dalla Siria, dallo Yemen, dall’Eritrea, dalla Libia... E non è vero che prendono 35 euro al giorno: quei soldi pubblici vanno alla polizia che presidia i centri di prima accoglienza, alle strutture, a chi ha vinto la gara d’appalto, mentre al migrante restano solo 2 euro e 50. Un’altra scemenza è “aiutiamoli a casa loro”: in Siria non muoiono di fame, muoiono di bombe. Infine, quasi nessun profugo vuole restare in Italia: preferiscono il Nord Europa, quindi per favore non parliamo d’invasione”.



Non le manda a dire, Nawal. Una volta, un ufficiale della Guardia Costiera le ha ventilato una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Ma se io non aiutassi chi mi chiama dal mare” gli ha risposto lei “dovrei piuttosto essere denunciata per omissione di soccorso”.

I momenti più difficili da affrontare? “Una volta un padre mi ha chiamata dalla Siria dicendomi: “Sono più forte di te, se mio figlio è morto dimmelo e basta”. Io ho controllato l’elenco dei superstiti di quel naufragio e il suo nome non c’era. “Sì, è morto”. Nella casa siriana sono iniziate le urla, altissime, della madre. Poi ho saputo che la salma è stata recuperata dal mare, e si sono potuti svolgere i funerali di un figlio il cui corpo non era lì, ma in Italia. Ma chi non trova il cadavere del proprio caro soffre molto di più, e la speranza di ritrovarlo un giorno fa vivere in un limbo senza fine”.

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