TUNISIA, L'ANCIEN REGIME CHE RITORNA

L'attivista tunisina Lina Ben Mhenni parteciperà al festival letterario SabirFest, a Messina domenica 28 settembre. Per raccontare cosa sta succedendo nel suo Paese e i passi indietro per i diritti delle donne


Foto Getty
Ha riferito con coraggio, tra i pochi a non nascondersi dietro uno pseudonimo, gli eventi più cruenti della rivoluzione in Tunisia nel 2011. Oggi, dal suo blog Una ragazza tunisina, persevera nel denunciare la corruzione della politica nel suo Paese, l’indifferenza del governo verso i problemi della popolazione e gli estremisti religiosi che tentano di prendere il controllo.
Lina Ben Mhenni, 31 anni, è un’attivista politica che vive sotto scorta per le minacce di morte che continua a ricevere, ed è stata anche candidata al Nobel per la Pace. Domenica 28 settembre, con altri 26 ospiti internazionali, parteciperà a Messina alla conferenza SabirMaydan: un forum per la cittadinanza mediterranea organizzato dall’associazione Cospe all’interno del festival letterario SabirFest. E di certo il suo intervento sarà uno dei più duri sul fallimento delle cosiddette “primavere arabe”. 

Lina, qualcuno guarda ancora alla Tunisia come esempio di “rivoluzione araba” di successo. Che cosa rispondi?
Mi viene da ridere e, insieme, da arrabbiarmi. Prima di tutto rigetto l’etichetta di “primavera araba”: come possiamo mettere nello stesso calderone Paesi diversi per storia, economia, politica, cultura e contesto sociale? Come possiamo parlare di “primavera” di fronte a ciò che accade in certi Paesi, la Siria su tutti? Ogni Paese ha le sue ragioni specifiche per fare la rivoluzione: non possiamo creare artificialmente un gruppo di Stati sotto l’etichetta di “Paesi della primavera araba”. 

Qual è dunque il tuo bilancio, oggi, della rivoluzione tunisina iniziata nel dicembre del 2010? 
Non capisco da che parte guardi la gente che parla di successo. È vero che la Tunisia è stata la prima a disfarsi, relativamente, di una dittatura riportando meno danni rispetto ad altri Paesi, ma ce ne siamo proprio liberati? Stiamo vivendo davvero una transizione democratica? Io non credo. Il presidente Ben Ali se n’è andato ma i simboli del suo regime? Il suo sistema? I diritti di coloro che sono stati torturati, oppressi e uccisi sotto Ben Ali? Nessuno degli obiettivi della rivoluzione è stato raggiunto: gli assassini dei nostri martiri sono liberi, i feriti della rivoluzione non hanno mai ricevuto cure adeguate, la tortura è ancora praticata, la situazione economica è pessima e ormai il terrorismo è parte della nostra vita. Abbiamo avuto due omicidi politici in meno di un anno, e gli assassini e i mandanti sono liberi. È vero che siamo riusciti ad avere una nuova Costituzione ma è davvero rivoluzionaria e moderna? Se la leggiamo bene, rimaniamo sconcertati dai suoi contrasti: è soltanto un pezzo di carta.

Il 26 ottobre, in Tunisia, si terranno le elezioni legislative, e a novembre sarà il turno delle presidenziali. Cosa ti aspetti per il futuro del tuo Paese?
La situazione è troppo complessa per fare previsioni. Oggi affrontiamo problemi nuovi come il terrorismo e serie difficoltà economiche. Non mi rende ottimista il ritorno sulla scena politica dei simboli del vecchio sistema: alcune persone del regime di Ben Ali si sono candidate, presentandosi come salvatori del Paese. Che elezioni sono, quelle in cui le vittime della dittatura e i loro carnefici competono equamente? Eppure la gente, spaventata dal terrorismo, comincia a guardare alla rivoluzione passata come a una grossa bugia e desidera tornare alla vecchia situazione. La nostra rivoluzione è stata confiscata da vari partiti e clan: gli uomini di Ben Ali da un lato e gli islamisti dall’altra. Nulla è chiaro, al momento. 

Quali sono le sfide prioritarie per le donne tunisine? 
In passato, le organizzazioni femministe lavoravano per l’uguaglianza tra uomini e donne. Si parlava di temi tabù, come la parità di genere e l’eredità. Oggi, invece, la donna tunisina si ritrova a combattere per diritti che già aveva: alcuni politici vogliono usare la sharia, la legge islamica, come fonte principale della nostra Costituzione, e così si comincia a parlare di complementarietà fra uomini e donne e non più di uguaglianza. Per fortuna le donne tunisine sono attive, istruite e consapevoli, così sono riuscite a ottenere dei successi, come per esempio il ritiro delle riserve alla Convenzione di Istanbul contro la violenza. Ma devono ancora lottare per raggiungere posti decisionali e diventare leader. E non dimentichiamo che, nonostante la situazione più o meno privilegiata delle donne tunisine rispetto ad altri Paesi del mondo arabo, nelle zone più remote restano deprivate dei diritti di base come l’educazione, oltre a essere vittime di violenza coniugale. Dobbiamo star loro accanto.

Continui a ricevere minacce di morte e a vivere sotto protezione?
Sono solo una fra le centinaia di tunisini che vivono sotto protezione: siamo target dei terroristi che vogliono eliminarci. Alle prime minacce ricevute, subito dopo la caduta di Ben Ali, non ho chiesto protezione ma, dopo l’assassinio del leader politico Mohamed Brahmi nel luglio del 2013, il ministro dell’interno mi ha informata che il mio nome figurava su una lista di persone nel mirino e che avrei dovuto avere una protezione. Vivo sotto scorta da allora, e la situazione non è cambiata: continuo a ricevere minacce online, credo per le mie opinioni e perché sono una donna che osa criticare il governo, i terroristi e certe pratiche retrograde. Perché dico la verità, insomma.

Stai pensando di lasciare il tuo Paese?
Sono confusa: di recente sono stata aggredita da poliziotti che avrebbero dovuto coordinarsi con gli agenti della mia scorta, e io sono contro la violenza in qualsiasi circostanza. Allora mi chiedo: il ministero degli interni è neutrale? È unito o diviso tra clan? Purtroppo oggi non mi sento al sicuro nel mio Paese, ma non lo lascerò. La mia lotta è qui. 


Al forum SabirMaydan del 28 settembre parteciperanno, tra gli altri, l’attivista egiziana Esraa Abdelfattah, l’ex-detenuto politico marocchino Kamal Lahbib, l’intellettuale e artista greco Costis Triandaphyllou, la suora comboniana, scrittrice e poetessa Elisa Kidané, l’attivista israeliana Roni Ben Efrat e la francese Nathalie Galesne, fondatrice della rivista di culture mediterranee Babelmed.net
Per informazioni e iscrizioni: Cospe, tel. 055/473556, cospe.org

da Io donna, 25 settembre 2014

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