ADOZIONI, PARLANO I FIGLI

A Bologna, sabato 22 giugno, i figli adottivi adulti organizzano il primo meeting nazionale tutto per loro.




Sono arrivati in Italia venti, trenta o quarant'anni fa, da ogni parte del mondo. Sono stati i pionieri dell'adozione internazionale nel nostro Paese e, tra qualche giorno, si riuniranno a Bologna nel primo Meeting dei figli adottivi adulti: “Adottivi non si nasce, si diventa!” organizzato dall'associazione Ciai per sabato 22 giugno. Un'occasione per condividere percorsi personali, magari trovare risposte ai propri quesiti interiori, oltre a riflettere sui falsi miti che ancora circolano sull'adozione internazionale ostacolandone la comprensione.

“Ho iniziato a frequentare il gruppo del Ciai qualche anno fa” racconta Gioia Giunchi, 39 anni, fra le promotrici del meeting di Bologna, adottata in Corea quando aveva venti mesi. “Per me è stato importante constatare che i miei dubbi, le mie domande sul mio percorso di vita e le mie difficoltà fossero comuni a tanti altri con una storia analoga”. Uno dei punti centrali per un figlio adottivo, secondo Gioia, è l'identità razziale: “Cresci vedendo le altre famiglie dove tutti si somigliano, e invece tu hai tratti somatici diversi da quelli dei tuoi genitori. Per me non è stato un trauma, anche perché all'epoca ero l'unica, nella mia scuola, con origini straniere ed ero molto coccolata. Però è di certo una fonte di interrogativi sulle tue radici, che ti accompagnano fino all'età adulta”. 

Gioia, come tanti altri, ha voluto partire alla ricerca delle proprie origini, ma ha atteso di essere grande: “Sono andata in Corea per la prima volta lo scorso anno, grazie a un'associazione coreana che ha invitato figli adottivi da tutto il mondo. Volevo scoprire il mio Paese di nascita però, a differenza di altri con cui mi sono confrontata, non ho mai sentito la spinta a cercare i miei genitori biologici. Eppure, dopo quel viaggio, mi sono sentita anche coreana, oltre che italiana. Peccato che tuttora, a Milano, mi scambino per un'immigrata: alla scuola guida mi allungarono immediatamente il libro in cinese, e nei negozi i commessi mi si rivolgono spesso in inglese”. 

Solo negli ultimi dodici anni, 39.223 bambini sono stati adottati all'estero da 31.529 coppie italiane. I 3.106 nuovi arrivati durante il 2012 avevano un'età media di cinque anni e 11 mesi, e la maggior parte di loro proveniva dalla Federazione Russa (il 24,1 per cento), dalla Colombia (il 10 per cento), dal Brasile (7,56) e dall'Etiopia (7,5). Nonostante i grandi numeri, tuttavia, sembrano persistere nella società italiana ancora dei pregiudizi, o comunque delle convinzioni errate, sull'adozione internazionale. “Non sono tanto gli episodi di razzismo esplicito verso chi, come me, ha la pelle nera” spiega Vasanth Armando, 23 anni, adottato a 14 mesi dallo Stato indiano del Karnataka “ma i piccoli, latenti razzismi quotidiani. Come quandoin Comune, ogni volta che vado per un documento, mi chiedono il permesso di soggiorno e devo perdere tempo a spiegare che io sono italianissimo. Qualcuno ci considera degli immigrati, invece siamo italiani al cento per cento. E c'è chi ti guarda con pietà, come se l'adozione fosse da catalogare nel comparto del disagio sociale. Credo che accada perché non c'è molta informazione su questo tema”. 
Vasanth ha affrontato molto presto l'esplorazione delle sue radici indiane: a dodici anni, accompagnato dai genitori: “Non neghiamo che tutti noi, per quanto i nostri genitori adottivi ci amino, abbiamo subìto il trauma dell'abbandono e dello sradicamento. Per me è stato fondamentale conoscere il contesto in cui sono nato, assaporarne gli odori e i colori, le stesse sensazioni che avevo percepito all'inizio della mia esistenza. Mi è servito per sciogliere certi nodi che trattenevo dentro. Ma per ciascuno, questa esperienza comunque non facile può assumere un valore e un impatto emotivo diverso”.

Si parlerà naturalmente anche di questo, sabato a Bologna. Nella convinzione che mettere in comune dubbi, paure e racconti di vita possa rivelarsi costruttivo per tutti. “Insieme abbiamo ripercorso con la memoria buchi neri, gioie e dolori” scrive del suo rapporto con altri figli adottivi di “prima generazione” Shanti Ghelardoni, adottata in India 38 anni fa e autrice di uno dei libri più onesti sull'argomentoI ventidue canti di Doyel, Dalla Costa edizioni. “Ho rivissuto con un maggiore spirito critico la mia esperienza, scavando e ricercando con la lente d'ingrandimento la mia identità. E alla fine sono giunta alla conclusione che i legami di sangue non contino assolutamente nulla”.

da Io Donna, 18 giugno 2013

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