PERCHÉ "TERMINATOR" SI È COSTITUITO?



Dall’agosto del 2006 era ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, e per aver costretto a combattere nel suo esercito ribelle tanti bambini nemmeno quindicenni, strappandoli a forza dai loro villaggi dell’Ituri, la regione a nordest della Repubblica Democratica del Congo. Ma “Terminator”, secondo Human Rights Watch, sarebbe responsabile di altre atrocità, come stupri di massa e massacri di civili.
Il suo vero nome è Bosco Ntaganda, quarant’anni, una carriera paramilitare dentro al caos delle scorribande belliche nell’est del Congo. A Goma, il capoluogo del nord Kivu, la città principale nella zona orientale del grande Stato africano, lui continuava a girare libero, indisturbato. Nel 2011 si scrisse che aveva tentato di vendere oro a uomini d’affari nigeriani, francesi e americani che erano atterrati all’aeroporto internazionale di Goma con una valigetta carica di soldi per lui.

Pareva imprendibile, circondato da una corazza protettiva inattaccabile, e invece qualche ora fa s’è consegnato spontaneamente all’ambasciata americana a Kigali, in Ruanda. Lo ha comunicato su Twitter la ministra degli esteri ruandese Louise Mushikiwabo, notizia poco dopo confermata dal dipartimento di Stato americano.
Il generale sanguinario, secondo quanto scrive in queste ore La Jeune Afrique, avrebbe persino chiesto di essere portato all’Aja davanti ai magistrati che da anni attendono di giudicarlo.
Difficile capire perché Bosco Ntaganda abbia preso questa decisione. Difficile pensare a uno scrupolo di coscienza. La prima ipotesi che viene in mente è che gli sia venuto meno l'appoggio del Ruanda, da sempre sospettato di sostenere i ribelli congolesi di etnia tutsi. Nel gennaio del 2009, per esempio, era stato arrestato l’altro grande “cattivo” dello scempio che dal 1996 si consuma dell’est del Congo, il generale Laurent Nkunda. Il militare lungo e sottile, occhialini rotondi, atteggiamento persino glamour nelle pose che assumeva per i pochi fotografi ammessi al suo cospetto. Nkunda comandava le milizie ribelli del CNDP (Congresso nazionale per la difesa del popolo), e Bosco Ntaganda è stato il suo secondo fino al gennaio del 2009, quando Nkunda fu arrestato e di fatto scomparve agli arresti domiciliari in Ruanda. La Repubblica Democratica del Congo non è ancora riuscita a ottenerne l’estradizione. 
Intanto Bosco Ntakanda concludeva un accordo con il governo congolese, veniva reintegrato nei quadri dell’esercito regolare, e finalmente viveva a volto scoperto, cenando regolarmente a Le Chalet, il ristorante più chic di Goma dove sembra di stare in Svizzera, tra arredamenti in legno e la vista splendida sul lago Kivu. Ma all’improvviso, nel maggio del 2012, gli era salita la paura dell’arresto e si era dato di nuovo alla macchia.
E’ stato allora che è scoppiata una nuova rivolta nel Kivu: altri congolesi di etnia tutsi avevano formato l’M23, un movimento ribelle nato dalle ceneri del prestigio del generale Nkunda e da quello di Ntaganda. Lo scorso novembre avevano addirittura preso Goma, come già aveva tentato Nkunda qualche anno prima. I caschi blu della missione Onu Monusco (19 mila militari, la più imponente e costosa al mondo dopo la Unamid in Darfur) li hanno respinti dopo qualche settimana. Forse la decisione di Ntaganda di costituirsi deriva anche dai contrasti interni all’M23, sul quale lui - pur avendo sempre negato di farne parte - avrebbe senza dubbio mantenuto una certa influenza.
L’arresto di “Terminator” è il quarto disposto dalla Corte dell’Aja per i crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo. Fra questi, Thomas Lubanga Dyilo è la prima persona mai arrestata (nel 2005 in Congo; il 17 marzo 2006 consegnato al tribunale dell’Aja) in base a un mandato della Corte penale internazionale. E’ stato condannato lo scorso anno, anche lui per aver reclutato bambini nel suo gruppo armato nell’Ituri. Altri capi d’accusa, come l’uso di violenza sessuale contro tante giovani donne rapite, non sono stati presi in considerazione. 
Chissà se dal processo a Bosco Ntaganda le donne del Congo - dove lo stupro è da sempre una strategia di guerra, un modo per distruggere i villaggi affossando le loro comunità in un’invincibile vergogna - potranno finalmente intravedere giustizia.

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