ARBEIT MACHT FREI



Una ragazza francese mandata alle camere a gas di Auschwitz in un giorno nel 1944. Lo racconta Liliana Segre, superstite del campo di sterminio, ancora oggi instancabile testimone.

Il 27 gennaio 1945 i soldati russi arrivavano nella cittadina polacca vicina a Cracovia, e scoprivano l'orrore.
Un brano del mio libro Sopravvissuta ad Auschwitz (edizioni Paoline).


"Ma è giusto che racconti anche delle mie miserie, delle mie vigliaccherie, delle mie povertà morali di allora. Alla selezione successiva, dietro di me c’era una ragazza francese, Janine, che lavorava con me in fabbrica alla macchina che tagliava l’acciaio e che, proprio nei giorni precedenti la selezione, le aveva tranciato le prime falangi di due dita.
Lei, poverina, in qualche modo nascondeva con uno straccio la sua mano mutilata e si presentava, nuda e menomata, al tribunale di vita e di morte.
Io ero appena passata, ce l’avevo fatta ancora una volta, e sentii che gli assassini fermavano Janine e che la scrivana, prigioniera come noi, prendeva nota del suo numero.
Quel gesto significava: “Vai a morire perché non puoi più lavorare”.
Io fui insensibile: da mesi lavoravo accanto a lei alla macchina ma non mi voltai. Racconto sempre questo episodio quando parlo di Auschwitz, è come un’espiazione, per me. Perché io non le dissi: “Coraggio, Janine, ti voglio bene, ciao…”.

Avrei potuto rivolgerle una parola qualunque affinché non si sentisse sola nel momento della condanna a morte per la colpa di essere nata ebrea. Non l’ho chiamata per nome nell’attimo estremo della sua vita.
Non mi sono voltata, non accettavo più i distacchi.
Sono vecchia e sono passati più di sessant’anni da quel giorno, ma lo racconto sempre e, quando parlo ai ragazzi nelle scuole, chiedo loro di pensare a Janine per un attimo, di farla vivere per un istante nel ricordo, come se Janine fosse l’immagine di tutti quelli che sono spariti, cenere, nel vento di Auschwitz.
Pensiamo a Janine, per un attimo: era francese, aveva ventidue o ventitré anni, occhi azzurri, voce dolce, riccioli biondi corti, appena ricresciuti dopo la rasatura. Andata al gas ad Auschwitz in un giorno del 1944.
Pensiamola un momento, perché nessuno, tranne me e gli aguzzini, conosce la fine che ha fatto Janine.

Mi sono sempre vergognata del mio comportamento verso di lei, ma non ho potuto far nulla per tornare indietro.
Ci sono momenti della nostra vita che vorremmo rivivere per essere diversi, episodi che ci insegnano a non lasciare che la vita scorra sopra di noi senza riflettere sulle occasioni perdute: una parola buona, andare a trovare una persona sola, un vecchio che non ha nessuno, cinque minuti della nostra vita. Fermarsi, voltarsi a dire “ciao, Janine”, anche senza arrivare ad alcun gesto eroico di cui pochi sono capaci...
Piccoli gesti che possiamo compiere ogni giorno, e che invece rimpiangiamo di non aver compiuto solo quando ormai è troppo tardi...

Janine andava a morte. Io invece ho fatto quel passo avanti che divideva la morte dalla vita, mi sono rivestita con i miei stracci e ho ripreso la mia esistenza di prigionera schiava che un anno di lager aveva tramutato in una lupa affamata, scheletrita, egoista.
Trasparente a sé e agli altri".

Colonna sonora: http://www.youtube.com/watch?v=GExII0ddGRs

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