NEGLI OCCHI DELLA GAZZELLA

Si chiamava Neda. Due anni fa, il suo volto insanguinato è diventato il simbolo del movimento verde in Iran e della fame di libertà dei giovani. Il medico che tentava di salvarla ora ha scritto un libro, in cui lo sguardo di Neda morente è inizio e fine. 




Una ragazza a terra, il volto percorso da rivoli di sangue scuro. Due uomini tentano di rianimarla. Uno urla: “Resta con me!”. Le grida della folla crescono tragiche e confuse.
Era il 20 giugno 2009: a Teheran milioni di persone manifestavano contro i brogli elettorali, che avevano portato alla vittoria del presidente Mahmud Ahmadinejad sull’avversario riformista Mir-Hossein Mousavi.
Neda Soltani, 26 anni, studentessa di filosofia freddata da un miliziano Basij, diventava il simbolo dei giovani iraniani affamati di libertà. La sua morte in diretta, ripresa da un telefonino, si diffondeva per il globo attraverso Youtube: un documento eccezionale, che rivelava senza filtri la brutalità del regime iraniano.
A metterlo online era stato l’uomo in camicia bianca che nel video cerca di salvare Neda. E che adesso siede di fronte a me in un appartamento di Londra. 

Arash Hejazi ha 40 anni. Era medico ed editore: amico di Paulo Coelho, pioniere degli audiolibri a Teheran, censurato per aver pubblicato Primo Levi, romanziere. Nel 2009 si trovava a Oxford per un master, e nei giorni di sangue era tornato a Teheran per caso. Karengh Street, dov’è stata uccisa Neda, è accanto al suo vecchio ufficio.
Quei 47 secondi trascorsi con la ragazza morente gli hanno portato via tutto: in Iran è ricercato come un criminale, si è rifugiato in Inghilterra con la moglie e il figlio di 4 anni. Nel suo libro Negli occhi della gazzella (in uscita per Piemme il 27 maggio e in altri 5 Paesi), l’autobiografia diventa storia di una generazione cresciuta sotto l’occhio orwelliano della rivoluzione islamica. Pagine scritte «per guarire» dice Hejazi. Dove Neda è inizio e fine.





Quel volto insanguinato la perseguita? 
I suoi occhi mi hanno dato la caccia a lungo, ma oggi Neda è parte della mia identità. Siamo diventati amici: sento di aver fatto per lei tutto ciò che potevo.

Che cosa l’ha spinta a diffondere subito il video, senza paura delle conseguenze?
Quando ho realizzato che Neda era morta, mi ha assalito la paura: potevano sparare ancora, questa volta contro di me. Il fatto di temere per la mia vita, quando avevo accanto una ragazza appena spirata, mi ha colmato di pena e rabbia verso me stesso. Ma c’era quel video, c’era qualcosa che potevo ancora fare: far uscire la parola, mostrare al mondo il volto del regime iraniano.

Ha contatti con la famiglia della ragazza?
No, loro sono sorvegliati, li metterei in difficoltà. Pochi mesi fa, però, la sorella mi ha scritto un’email per ringraziarmi e augurarmi il meglio. Inutile dire quanto significhi per me quella email.

C’è un dettaglio della storia di Neda che l’ha toccata di più?
Il fatto che prendesse lezioni di canto: l’uomo che nel video urla “Resta con me!” era il suo insegnante. In Iran, alle donne è proibito cantare in pubblico: mi piacerebbe sapere per chi lei volesse cantare. 

Il suo libro è coraggioso, un’analisi appassionata dell’Iran come “il regime più falso e violento al mondo”, scrive. Si aspetta violente ritorsioni?
Cosa può mai accadere, di peggio? Io e la mia famiglia siamo stati perseguitati, i miei colleghi messi sotto pressione, la mia casa editrice chiusa. Non ho accesso al mio conto in banca in Iran, sono stato accusato di essere un agente di Israele e minacciato di morte. Il regime blocca le informazioni verso l’esterno, e io ho già rotto quella barriera: se riuscissero a punirmi, sarei un esempio per chiunque osasse parlare.

Il video è stato girato da un suo amico, di cui lei protegge l’identità. Che ne è di lui?
Vive in Iran e non vuole andarsene. Voleva chiamare sua figlia Neda, ma gli ho consigliato di non farlo, di guardare avanti. Il 20 giugno 2009 era pietrificato: non aveva mai visto una tale violenza. Ha filmato per istinto, ma ha smesso perché gli tremavano le mani. L’ho obbligato a consegnarmi il video. E spero di poter rivelare il suo nome, un giorno: è l’autore del più importante documento del secolo, per l’Iran.

E’ vero che è grazie a Paulo Coelho se lei è uscito allo scoperto?
Paulo aveva parlato del video nel suo blog, citandomi come il medico che lo aveva invitato a Teheran nel 2000. Al governo sarebbe bastata una ricerca su Google per scoprire che si trattava di me. Così ho preso il primo volo per Londra, e solo allora Paulo ha rivelato il mio nome. I media mi hanno cercato, a quel punto non avevo scelta. Sì, se non fosse stato per lui, il mio terrore avrebbe soverchiato la mia parte migliore. Gliene sono grato.

Nel libro ripete che ha perso tutto, raccontando di Neda. Nessun rimpianto?
Se non avessi parlato, oggi sarei un miserabile che vive in Iran nel silenzio. Lo avrei perso comunque, il mio Paese, perché lo avrei tradito. Un iraniano non può mai davvero lasciare l’Iran: io mi occupavo di letteratura, mitologia, storia, e mi manca respirare quell’aria. Ma se accadesse di nuovo, pagherei ancora questo prezzo.

Alle prossime elezioni Ahmadinejad non potrà più candidarsi. Sarà l’occasione per una svolta?
Non credo. Nel 2009 abbiamo capito che l’Iran non sarà mai una democrazia, finché ignorerà il voto della gente. La mia generazione non pensava di rovesciare la Repubblica islamica, non era questo il punto. Chiedevamo riforme graduali, come quelle inaugurate da Khatami e bruscamente interrotte da Ahmadinejad. Non so cosa accadrà: so solo che questa situazione non può durare a lungo. 
Da Io donna, 21 maggio 2011

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