"SEGUITEMI. ASCOLTERETE IL SILENZIO DI NEW YORK"




foto di Alessandro Cosmelli


L'itinerario insolito della scrittrice Nicole Krauss
Metti una mattina newyorchese insolitamente tiepida in compagnia di Nicole Krauss: 37 anni, nata a Manhattan ma di madre inglese e antenati da tutto l’Est Europa, tra le migliori scrittrici americane under 40 secondo il New Yorker, apprezzata anche in Italia per i suoi libri Un uomo sulla soglia e La storia dell’amore. Metti una visita guidata nei suoi luoghi di ispirazione, un tour da Brooklyn a Chelsea che da solo basterebbe a restituire una metropoli inaspettata e persino rilassante.

Il pretesto per il nostro incontro è l’uscita italiana del suo ultimo romanzo, La grande casa (in libreria dal 24 marzo per Guanda), intreccio di quattro voci narranti, quattro storie di scrittura, amori e rimpianti tra New York e Londra, Gerusalemme a Budapest, il cui legame apparente è un’ingombrante scrivania che passa da un protagonista all’altro col suo fardello di memoria.
L’appuntamento è a Brooklyn al Café Regular du Nord, minuscolo e dall’atmosfera parigina. Lei si presenta con un cappottino rosso dai bottoni neri e il taglio antico: «Era di mia madre» dice. «Il mio guardaroba è pieno di abiti suoi».
È sottile, di una bellezza timida ed elegante, facile al sorriso. Mentre passeggiamo per Park Slope, il quartiere intellettuale di Brooklyn in cima alle classifiche di qualità della vita, Nicole Krauss racconta di aver lasciato otto anni fa Manhattan perché «ha perso charme: ormai è un grande, uniforme centro commerciale. Il West Village sembra un set cinematografico, non è reale. La gente giovane e creativa si trasferisce a Brooklyn non solo per i prezzi delle case: c’è autenticità, un senso di sorpresa che Manhattan ha perso. E Park Slope è un vero quartiere, dove ci si conosce tutti e ci si saluta per strada». Qui Nicole abita con i due figli piccoli, Sasha e Cy, e il marito-collega Jonathan Safran Foer, ma su di lui e sull’eventuale rivalità domestica di penna non c’è modo di scucirle una sillaba: «Non parlo del mio matrimonio, il privato è privato».
E allora parliamo della baia di Redhook, a ovest di Brooklyn, con edifici in disuso della Marina e tram come pezzi da museo sul molo: «È un vecchio villaggio di pescatori dove non arriva la metropolitana: i negozi e i ristoranti sono solo per la gente del posto e la vista è grandiosa». L’East River che sembra già oceano; la statua della Libertà in lontananza. «Qui ti riappropri della geografia» dice Nicole «e riscopri New York per ciò che è realmente: una città sull’acqua».
Su Hudson Avenue, dove lei ci fa conoscere il ristorante Vinegar Hill House, sorprendono le case basse, bianche e blu come in Grecia, e le strade in pietra. Entriamo, lei saluta i cuochi che arrostiscono agnello sul funky di James Brown: «Un’amica era chef qui, non ci capiteresti mai per caso. Il cibo è fantastico: cucina americana contemporanea, fusion e biologica, con tanta scelta per i vegetariani come me».



Mentre ci dirigiamo al Giardino Botanico di Brooklyn («Adoro le serre e il giardino giapponese. È uno dei pochi luoghi di New York dove hai ancora il senso delle stagioni»), le chiediamo del nuovo libro e dei quattro protagonisti: «Nadia è una scrittrice di mezza età che ha rinunciato a tutto per la sua arte: lavora a una scrivania ereditata da un poeta cileno, piena di sentimenti che la inseguono, finché un giorno qualcuno arriva a reclamarla. C’è poi un vedovo, in Israele, che intesse un monologo con il figlio interrogandosi su che padre sia stato. E Arthur, in Gran Bretagna, sposato con un’altra scrittrice, che per lui rimarrà sempre una donna misteriosa». Infine Isabel e i suoi fratelli che, secondo il Washington Post, sembrano usciti da una pagina di Edgar Allan Poe. «Il libro è una riflessione sull’eredità emotiva: quale visione del mondo ci trasmettono i nostri genitori, e cosa trasmetteremo noi ai nostri figli? Solo nelle ultime pagine scopriamo che l’autentico legame tra i personaggi va oltre l’oggetto-scrivania».

Se nei gusti musicali Nicole Krauss è eclettica («Ascolto Beethoven e Tom Waits, il jazz di Bill Evans e l’indie rock»), nelle letture segue binari precisi: «Preferisco autori stranieri del passato, come Thomas Bernhard e Knut Hamsun, agli americani contemporanei». Anche la sua libreria di fiducia è old style: il Community Bookstore a Brooklyn, con cani e gatti che gironzolano e un piccolo pianoforte per far giocare i bambini. «Per questi negozi di tradizione è difficile reggere la concorrenza delle grandi catene. Ricordo una libreria sulla 47a strada, che ora ha chiuso: qualsiasi volume tu chiedessi, loro scendevano nei sotterranei e te lo portavano. E io sognavo che quei sotterranei si estendessero per tutta la città».
Nicole abitava lì vicino, a Manhattan: «Ho scritto il mio primo romanzo fissando dalla finestra la vecchia insegna della Pepsi Cola oltre l’East River. Per me è quello il luogo simbolo di New York. Si vede tra la 52a e la 54a strada, è stata salvata dalle demolizioni delle fabbriche attorno, e di notte la luce delle lettere scintilla nell’acqua. New York è speciale perché offre mille stimoli visivi, ti mette a contatto con l’umanità intera, e a me piace ascoltare le conversazioni in metropolitana, immaginare le vite degli altri. Ma a un certo punto hai bisogno di spazi per riflettere».
Come sulla High Line a Chelsea, binari ferroviari trasformati in un passeggio a mezz’aria: «Non sei né in basso né in alto, guardi dentro le case. Un punto di vista inedito per questa città. L’invenzione di uno spazio da un non spazio».
Ci salutiamo di nuovo a Brooklyn, di nuovo su una via silenziosa che riconcilia con New York.

(da Io donna, 19 marzo 2011)

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