ANA DAL CASCHETTO BIONDO


SCHIAVITU' Lo stato o condizione di un individuo sul quale sono esercitati gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di questi.
(Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926)

LINEAMENTI ELEGANTI, pelle di porcellana, altezza da modella. Non fosse per il caschetto di un biondo sfrontato, Ana sembrerebbe una diciottenne qualunque. Più bella e infantile, con l’orsacchiotto sul letto, le pantofole grandi di peluche e il cuscino stretto al ventre mentre in italiano impeccabile parla di sé, per la prima volta, con un’estranea, lei che diffidava di tutti, a cominciare dai carabinieri che l’avevano ammanettata insieme ai suoi “ragazzi”. «Faccio la badante, li ho conosciuti stasera in discoteca» ripeteva nell’interrogatorio dopo la retata.
Finché qualcosa si è rotto.
Il pensiero di quei venti uomini al giorno...
... «me li mandavano vecchi perché i giovani potevano innamorarsi e farmi scappare». E i vecchi offrono 50 euro con il preservativo e 200 senza, non domandano l’età e si bevono la storiella che è una sua scelta starsene lì in vestaglia ad aspettare loro, così potrà comprarsi dei bei vestiti. Suonano il campanello, fanno veloce, per fortuna non picchiano e non chiedono servizi strani. I vicini di casa sentono, giorno e notte: «Non li ho mai visti, nessuno ha mai protestato. Non ti pare strano?».

È moldava, Ana (il nome è falso, lei rischia la vita). Ha vissuto mesi, non sa dire quanti, in un appartamento di provincia, segregata da una prostituta albanese che si vende in strada e là procaccia clienti per lei, bambolina minorenne. «Credimi, quando ero in Moldavia non sapevo nemmeno che esistesse la prostituzione».
Lo ripete.
Troppe volte l’hanno scambiata per una che voleva fare soldi e basta. Invece ha solo creduto a due albanesi che in Moldavia battevano paesini di campagna come il suo, dove non tutti hanno il televisore e l’acqua calda arriva da una pentola sul fuoco. Facile procurarsi ragazze da cedere per dieci, 15 mila euro alle organizzazioni di stanza in Italia.
Lei viveva coi nonni (la madre non ce l’ha, il padre è alcolizzato): è bastato prometterle un lavoro in una pizzeria. «Volevo mettere via dei soldi per iscrivermi all’università, e quei ragazzi erano così normali». Un passaporto romeno falso, un viaggio in macchina con due sconosciuti. Le guardie di frontiera intascano denaro e non controllano. Si arriva a Bologna, «le spese ce le rimborserai dopo».
Ana impiega giorni a capire. Viene venduta ad altri albanesi e ad altri ancora, in una giostra che la intontisce: è merce che scotta, le minorenni fanno rischiare pene doppie agli sfruttatori e non tutti possono permettersi zone lontane dagli occhi della polizia. Gli ultimi ad acquistarla sono pesci grossi, gestiscono un giro di prostituzione in appartamenti di mezza Italia.
La piazzano a casa di un’albanese che ha cominciato presto e ora è una specie di caporale. «Uno di loro mi ha detto: “Io sono il tuo ragazzo, dovrai avere rapporti con me”. Veniva una volta a settimana a prendere i soldi, dormiva con la pistola sotto al cuscino. Io non uscivo mai se non con quella donna: è stata lei a insegnarmi come fare…».

Ana non accenna a botte, stupri, pianti. Racconta con un gelo sinistro che fa intuire una sofferenza densa, resistente.
Da un anno vive in una comunità protetta, a indirizzo segreto. Per altre come lei questi luoghi sono altre gabbie: scappano e si rituffano nel buco nero. Lei no. Ha studiato da estetista e oggi avrà il primo colloquio di lavoro.
Sorride. Sgela, per un attimo. «Voglio restare, che torno a fare in Moldavia? I miei nonni non devono sapere. Li chiamo e dico che sto bene, lavoro, abito con altre ragazze. Voi non conoscete la nostra mentalità».
La psicoterapeuta che raccoglie i cocci di questa ragazza, ricorda che all’inizio il suo schermo al dolore era il vanto: Ana raccontava che “i ragazzi” la portavano in locali alla moda, erano dei duri, sniffavano coca e vivevano a mille.

È crollata un pezzetto alla volta, quando ha rilassato i nervi.
Presto li rivedrà in tribunale, “i ragazzi”, al processo di cui lei è testimone chiave. La sua denuncia ha scoperchiato un milionario commercio di droga e armi. Quelle come lei erano spiccioli da reinvestire in prodotti più redditizi. Ragazze nulla. «Era così che mi sentivo: una che non esiste».
Per questo hai denunciato, Ana?
«Sì. Qui in comunità esisto per qualcuno. Ho ancora paura, un giorno incontrerò per caso i miei sfruttatori e mi faranno del male. Ma ora voglio che paghino».
Il caschetto biondo è un travestimento. Ana spera che basti.

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