L'ARTE (ESTINTA) DI AGGIUSTARE


L’oggetto, certo, è costato poco. Ma dopo un mese (o allo scoccare della garanzia) smette di funzionare. Comincia così una caccia estenuante. In cui tutto congiura per suggerire una sola soluzione: ricomprarlo

Andavo fiera del mio nuovo lettore dvd, una scatolina grigia metallizzata e ultra-piatta con un’allure da pezzo di design a dispetto del costo: 39 euro e 90. Finché non mi ha giocato un tiro imperdonabile: ha abbandonato questo mondo la sera che mi ero decisa a guardare Taxi Driver in lingua originale. E proprio nella scena in cui Robert De Niro, davanti allo specchio, apostrofa l’immaginario interlocutore con vari «Stai parlando con me?».
Fermo immagine. Rumori sospetti, gorgoglii in formato elettronico. Tocco l’apparecchio: è bollente. Esploderà? E considerando che l’accattivante e infido oggettino da 39 euro e 90 non aveva che un mese di vita, mi ritrovo a filosofeggiare: perché proporre ritrovati tecnologici a prezzi da mercatino rionale se non si fa nemmeno in tempo ad ammortizzare la spesa? Perché illuderci che possiamo permetterci qualsiasi tecnologia se poi ci lascia a piedi?



Certo, ormai (grazie a una legge del 2002) la garanzia dura due anni, ma per avvalermene ho dovuto sorbirmi code infinite nel grande magazzino dove avevo acquistato il dvd, desistendo per due volte e adattandomi a guardare cassette su un videoregistratore del 1986, allora pagato una fortuna. E infatti funziona a meraviglia, peccato solo per il telecomando disperso nei traslochi.
Così, stanca di alzarmi per avviare, fermare, mandare avanti e indietro, affronto la terza coda per il dvd e finalmente ottengo il responso del commesso: «Come no, è in garanzia e glielo ripariamo gratis. La chiamiamo noi fra quaranta giorni». Quaranta? Sono più di quelli vissuti dal mio dvd. Siamo sicuri che non si romperà di nuovo? Il giovane reprime un sorrisetto, e con un tono da agente segreto mi invita a dare un’occhiata ad altri lettori in esposizione: «Ormai costano talmente poco, se vuole può comprarne un altro». Ce n’è persino uno da 34 euro e 90, più delizioso del mio.
Eccolo, lo stimolo primo dell’usa e getta: ferri da stiro a 24 euro e 90 (questi 90 centesimi mi hanno stufata), tostapane a 17,90, robot da cucina a 59, micro-onde a 79, radio a 9,90. Che, se si rompono oltre il periodo di garanzia, costano il triplo in riparazione, ammesso di scovare qualcuno che li ripari. Si fa prima a ricomprarli nuovi a prezzi ancora inferiori, producendo cinquanta tonnellate di rifiuti tecnologici l’anno: bombe al cadmio, al mercurio, al polivinile che intossicano il pianeta.


Oggi solo il 15 per cento delle cose che buttiamo via in Italia viene riciclato. Computer e cellulari, ricorda Greenpeace, nel 1997 vivevano mediamente sei anni. Oggi due. Negli Stati Uniti, solo l’un per cento dei materiali finisce in prodotti destinati a durare più di sei mesi. Se n’è occupato il New Scientist, prestigiosa rivista britannica, e sul tema si è profuso pure The Guardian, sguinzagliando tre cronisti nel tentativo di far aggiustare un tostapane, un aspirapolvere e un lettore dvd.
Il diario delle loro peripezie è uno spaccato sociale che va a braccetto con la questione ecologica: i riparatori di professione sono una specie in estinzione. Quando esistono chiedono cifre scoraggianti oppure sono i primi a consigliare di lasciar perdere. «Per forza» mi illumina Sergio Bellodis, che da quarant’anni aggiusta televisori a Milano e da quindici medita di smettere «il lavoro non gira. Per i televisori al plasma non si trovano i pezzi di ricambio, i dvd la gente li compra nuovi e i videoregistratori chi li vede più?».
Prendiamo le macchine fotografiche digitali: certe marche hanno un unico centro assistenza in Italia, per altre occorre spedire l’apparecchio niente meno che in Portogallo o in Olanda. Un’inchiesta del settimanale Il Salvagente ha interpellato un anonimo responsabile di un’importante azienda del settore, che ha ammesso: «La durata media di questi apparecchi è di due anni, il tempo della garanzia. Dopodiché non ha più senso ripararli perché soffrono di obsolescenza tecnica. A conti fatti, comprarli nuovi costa meno».
Dunque ci istigano a riacquistare. Aggiustare è da ricchi o da stupidi. Siamo preda di un consumo adulterino, che ci fa innamorare in serie degli oggetti, uno via l’altro. Lo ha detto Jonathan Chapman, professore di Brighton e studioso di nuovi stili di design per limitare gli sprechi in cianfrusaglie e fidelizzarci a oggetti che rendano durevoli anche le nostre emozioni di consumo.

Ma per ora siamo in piena cultura usa e getta: nel 2005 veniva lanciato un nuovo prodotto ogni tre minuti e mezzo. Di certo oggi il ritmo si è accelerato, basta pensare al mercato dei cellulari. «Perché stupirci? È la società industriale a basarsi sull’idea che il nuovo sia sempre migliore del vecchio, seppure aggiustato» fa notare Vanni Codeluppi, sociologo dei consumi allo Iulm di Milano. «Le autentiche innovazioni sono rarissime: è la comunicazione a giocare sulla novità. Oggi i prezzi si sono abbattuti per la miniaturizzazione dei componenti e per la produzione spostata nei paesi in via di sviluppo con un minore costo del lavoro: è un beneficio economico che però si traduce in uno scarso investimento psicologico da parte del consumatore, oscillante fra la delusione per un acquisto che invecchia in fretta e il coinvolgimento per il nuovo modello che lo fa sentire al passo con i tempi». Codeluppi chiama in causa persino l’incertezza globale della nostra epoca: «Comprare cose nuove è una stampella» sostiene «dà un sollievo momentaneo. Fino al prossimo acquisto».
Eppure una schiera di irriducibili resiste. Quelli che non accettano l’invecchiamento precoce degli oggetti e piuttosto investono tempo (e denaro) per rinverdirli. Enrico D., per esempio, ha resuscitato il suo televisore a tubi armandosi di santa pazienza: «Si accendeva e spegneva in continuazione» racconta «finché non si assestava. L’ho tenuto così per mesi, poi mi sono deciso a cercare su internet il centro assistenza più vicino: al telefono non facevano preventivi, dicevano solo che se fossero venuti loro a prenderlo mi sarebbe costato di più. Così mi sono caricato il televisore a braccia e gliel’ho portato. E anche in negozio, niente preventivo. “La chiamiamo noi”. Dopo un paio di giorni mi hanno chiesto cento euro: ne valeva la pena, in fondo. Quanto al difetto, il tizio mi ha sparato quattro cose in linguaggio tecnico e io ho fatto finta di capire».
Stessa scena con l’amplificatore dello stereo, «perché io preferisco spendere un po’ di più per avere qualità e anche per uno scrupolo ecologico» spiega Enrico. «Mi sono imbestialito con un registratore a cassette di mia moglie. In negozio si sono limitati a guardarlo per sentenziare: “Le costerebbe 80 euro. Uno nuovo lo trova per cento”. Ho insistito per farlo riparare. Hanno insistito perché la piantassi».


Sergio M. aggiusta qualsiasi cosa da sé. Per hobby. «Ho cominciato con il mio stereo, il vecchio hi-fi: il giradischi e il registratore avevano le cinghie usurate. Ho impiegato settimane a capire dove comprare i pezzi di ricambio, ma metterlo a posto è stata una sciocchezza. Poi è stata la volta del tostapane: si era scollegata la resistenza, è bastato ripristinare il contatto. Sono operazioni più semplici di quel che sembra: devi solo possedere tempo, e tanta curiosità».

Salvatore V. non è un genio delle riparazioni, ma una cosa la sa per certa: non intende spendere un euro per riparare il suo lettore dvd semi-economico, che dallo scoccare della garanzia soffre di surriscaldamenti frequenti e s’impalla cento volte a film. Tra una filippica e l’altra sull’inaffidabilità delle nuove tecnologie consumer, gli è balenata un’idea: raffreddare il dvd meccanicamente. Toglie il coperchio, infila il disco, appoggia l’apparecchio a terra. E gli punta addosso un ventilatore. Da un anno funziona a meraviglia. E pazienza per la faccia basita degli amici e per il venticello che si alza in salotto. In fondo, in mancanza di un videoregistratore del 1986 per le emergenze…

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