LAPIDATA


Aveva solo 13 anni Aisha Ibrahim Duhulow, ammazzata a sassate nel sud della Somalia il 27 ottobre. In uno stadio. Con un migliaio di persone a guardare.
Non era una donna. Non aveva 23 anni come avevano dichiarato le autorità del paese quel giorno. E l'accusa di adulterio era completamente inventata.

Oggi è l'Unicef a portare a galla la verità. Aisha è morta a causa di tre miliziani che hanno innescato un gioco crudele. Prima l'hanno stuprata. Poi l'hanno voluta punire per aver denunciato l'accaduto. Si sono inventati che Aisha era un'adultera, felice di sottoporsi alla legge di Allah per pagare il suo peccato.
La bambina è stata lapidata a Chisimaio, una città strategica della Somalia controllata dai ribelli islamici di Al-Shabaab, considerati il braccio armato di Al-Qaeda nel Corno d'Africa.
Erano in cinquanta a colpirla con pietre portate appositamente su un camion. Di lei emergevano solo testa e collo: il corpo era interrato dentro il campo dello stadio
Lo spettacolo è stato interrotto, a un certo punto, perché qualcuno verificasse se Aisha respirasse ancora. Respirava. Lo spettacolo è ripreso. Le pietre sono state scagliate fino all'ultima. Fino alla sua morte.

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